Frammenti dell’animo – storia per un film

… avevo subito capito che la cosa più importante
quando devi raccontare qualcosa
non è quello che dici ma come lo dici,
e io sapevo dirlo in quel modo, quell’unico modo
che riusciva a farla sentire la più bella e desiderata donna del mondo.

Mi chiamo Fabio, Fabio Fiore e sono un creativo. Come dire: uno che perde tempo!
Nei manuali specializzati spiegano che il creativo è uno con mille idee che viene assunto da una società, per esempio, di pubblicità, spremuto come un limone e per questo pagato profumatamente.
Ebbene io non lavoro in una società di pubblicità.
Non sono pagato profumatamente.
Spesso faccio i salti mortali per sbarcare il lunario.
Eppure mi spremo lo stesso come un limone.
Il motivo è semplice: devo raccontare storie.
Non so il perché.
È un urgenza che ho avuto sin da piccolo. E solo da una dozzina d’anni sono riuscito a concretizzare.

Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e a qualcuno a cui raccontarla.

Fa dire Alessandro Baricco al suo Novecento, il pianista che non è mai sceso dall’oceano.
Anch’io sento che è così.
In realtà mi è facile raccontare storie, le mie storie, quando la mia realtà va in tutta altra direzione da quella che avrei voluto. E allora scrivo, metto su un disco, il mio preferito è Perdo tempo della Piccola Orchestra degli Avion Travel, e via tutto di un fiato ad immaginare un mondo. Non un mondo perfetto in cui tutto va secondo i propri desideri, non è un sogno quello che cerco di raccontare, ma un mondo altrettanto vero in cui sia possibile o addirittura facile cercare la cosa più importante della nostra vita …

Un paio d’occhi intensi, neri, profondi come un pozzo senza fine mi colpì, entrò in contatto con i miei. Era la prima volta che mi capitava e stavo bighellonando con Sandro sulla Rambla di L’Avana.

Un muto sguardo che era un invito esplicito a seguire quella Bruna che avevo solo incrociato per puro caso.
Fui trascinato a L’Avana dall’ultima storia che avevo raccontato: una donna che si innamora di uno straniero ma questi, pur riservandogli grandi attenzioni, si innamora della sua migliore amica e lei ha una sola possibilità: lasciarli vivere la loro storia.
Quella settimana a L’Avana, si teneva un festival e veniva rappresentata questa storia. Io ero ospite al National e mi trattavano da vero nababbo. Il bello dell’essere un creativo è che consentono, a volte, a un poveraccio come me di fare una vita da miliardari. Credo che sia l’unico mestiere in cui la classe sociale di provenienza e la quantità di soldi che hai possono non avere nessuna importanza.
Quella settimana a L’Avana fu una provocazione continua: ragazze bellissime, che in Italia neppure riesci a pensare di poter avvicinare, dai sedici anni in su che ti circuivano in ogni modo.
Non ho mai pensato di essere bello o particolarmente affascinante eppure non potevo passeggiare per strada che venivo agguantato: il muto sguardo era solo la provocazione più banale, le altre ti sgambettavano mentre camminavi, ti si incollavano dietro, in coppia, cominciando ad esprimere apprezzamenti ad alta voce, ti agguantavano per il braccio e non era facile liberarsene. Per riuscire a proteggermi da tutto ciò gli ultimi giorni chiedevo a Daniela, la compagna di un mio amico, di accompagnarmi. Lei stessa rimase sorpresa della quantità di approcci a cui ero soggetto. Certo la cosa mi faceva piacere, anzi mi faceva sentire bene anche se sapevo che quelle ragazze avevano bisogno di soldi e quindi non era tutto oro quello che luccicava …
Ma fu allora che capii finalmente cosa cercavo veramente in una donna.

********

Quella ragazza é bellissima! disse La Bionda.
Mah, non mi sembra particolarmente bella, eppoi non è la bellezza quello che mi interessa in una ragazza. Risposi senza dare molto importanza alla cosa.
Menti, sapendo di mentire. Rispose La Bionda.

Cominciai a pensare a quello che avevo detto e non mi resi conto che su quella Bionda cominciavano a posarsi troppo spesso i miei pensieri.

Mi venne subito in mente l’Humphry Bogart di Sabrina.

Quello che per salvare il fratello più piccolo da una relazione con la figlia del maggiordomo è costretto a sacrificarsi e corteggiare lui la giovanissima Audrey Hepburn, nonostante il padre gli faccia notare che alla sua età potrebbe aver dimenticato come si faccia.
Ebbene anch’io potevo aver dimenticato come si faceva a corteggiare una giovane Bionda di appena 25 anni, mentre io ne avevo una dozzina in più.
Il problema era che da oltre otto anni mi ero addormentato in una relazione senza uscite, oltre che senza infamia e senza lode e quindi mi sembrava essere ritornato adolescente.

Non che da adolescente mi dessi tanto da fare, anzi ero piuttosto esigente e avevo un culto della bellezza assoluto. Non mi trovavo d’accordo con nessuno dei miei amici su quale ragazza fosse bella e quale no. Ricordo che a quattordici anni, il primo giorno di scuola del liceo mi fu consegnato un biglietto da parte di una mia compagna di scuola.

Con tanto amore da parte di una tua ammiratrice. Smac.

Lessi il biglietto più volte: non riuscivo a crederci. Lessi il nome. Mary: guardai la classe, in particolare le file delle donne. L’unica che si chiamava Maria era una falsa bionda
La guardai.
Non mi piaceva.
Non le risposi neppure.

È meglio stare da soli piuttosto che accontentarsi. Dicevo.

Qualche anno dopo le cose però non andarono per il verso giusto.
Era già il terzo anno del Liceo e non l’avevo mai notata più di tanto. Sin dai primi giorni del primo anno l’avevo sempre vista con un ragazzo più grande di Lei e questo la rendeva ai miei occhi indisponibile. Quell’anno ci fu la crisi tra loro e dopo il solito tiremmolla si erano lasciati.
Bruna, occhi scuri, uno sguardo intenso e dei capelli nerissimi e a caschetto. Si chiamava Antonella.
Ha cominciato lei a darmi corda e io ci sono stato, anzi ho cominciato a prenderci gusto e presto mi sono sorpreso delle mie capacità di conversatore.

Questo vestito giallo è stupendo, si adatta perfettamente al colore dei tuoi occhi. Le pieghe della gonna, poi, danno alla tua figura uno slancio che si accorda perfettamente col colore delle calze. Le scarpe poi, nere, con quel mezzo tacco danno alle caviglie una eleganza non comune. I capelli, poi …

Potevo continuare per ore così a parlare con competenza e partecipazione delle cose più inutile del mondo, riuscendo ad affascinarla e a tenere inchiodata la sua attenzione: avevo subito capito che la cosa più importante quando devi raccontare qualcosa non è quello che dici ma come lo dici, e io sapevo dirlo in quel modo, quell’unico modo che riusciva a farla sentire la più bella e desiderata donna del mondo.
Per mesi mi sono costretto ad uscire da casa alle sette del mattino per poter stare davanti alla scuola dalle sette e trenta e aspettarla arrivare e cominciare a parlare.
Mio padre una volta mi chiese:
Ma questa scuola a che ora comincia?
Non capiva che non era la scuola che mi interessava. Non riuscivo a fare nessuna assenza, neppure quando ero malato. La sua presenza mi era indispensabile come l’aria. La mia mente era piena di Lei e non riuscivo a far entrare nulla delle materie che dovevo studiare. Ovviamente il mio interesse, che comunque cercavo di tenere nascosto ai miei compagni, provocò l’attenzione di un nuovo acquisto, Gigi, figlio di un professore di matematica che avevo avuto l’anno prima. Fu una mazzata. Gigi non era né bello, né intelligente, e soprattutto non mi sembrava uno con grande sensibilità. Comunque sia, Gigi si inserì tra noi e gli fu facile avvantaggiarsi del lavoro di centrocampo che da mesi avevo condotto con Antonella. Qualcosa successe lontano dalla scuola: Gigi dovette fare qualche avance di troppo, il vecchio fidanzato ritornò brevemente in scena, e io mi ritrovai senza grandi spazi. Cominciai a chiedermi dove avevo sbagliato e trovai la risposta: avevo sbagliato i tempi, non avevo colto l’attimo e qualcun altro se ne era avvantaggiato. Un errore madornale ma che avrei continuato a fare …
La storia non finì lì. Un mio compagno di classe, Roberto, ci invitò alla festa del fratello maggiore Gianfranco e io cercai di convincere Antonella ad esserci ma lei non lasciò spazio a dubbi: aveva avuto problemi in passato con Gianfranco e non aveva intenzione di rincontrarlo.
La sera alla festa la prima che incontrai fu Antonella. Non ero nella pelle. Non poteva che averlo fatto per me. Il mio sogno si sarebbe avverato.
Non riuscii a fare neppure un ballo con lei. Appena arrivò Gianfranco i due si misero a parlare in un angolo e la festa per loro poteva dirsi conclusa. Gianfranco e Roberto notarono il mio malumore e capirono. Gianfranco quasi si scusò: ma lui non centrava nulla aveva fatto tutto Antonella.
Mi avevano sempre considerato più maturo dei miei quindici anni: ma una cosa era certa dell’animo femminile non capivo un cazzo.
Tornai a casa di umore nero, non dormii tutta la notte e mi aspettava un’intera domenica di tormento. Alla fine decisi: scrissi quello da dirle per telefono, provai ripetutamente la parte davanti allo specchio e telefonai, trattenendo il fiato.

Ciao Antonella, sono Fabio. Possiamo vederci domattina prima della scuola. Alle sette e trenta davanti all’edicola di Piazza San Ciro, dove ferma il filobus.
Perché?
Ho qualcosa da dirti.
Va bene, a domani.

Era il peggiore dialogo che avessi mai potuto scrivere. Mi vergognavo, ma il risultato lo avevo portato a casa. Finalmente si sarebbero scoperte le carte e ci sarebbe stato un finale certo a questa storia. Già allora non amavo le storie senza un finale.
Alle sette ero già davanti all’edicola. Il cuore in tumulto. Provai a camminare facendo degli esercizi di respirazione: non ottenni risultati apprezzabili.
Comprai un giornale. Si fecero le sette e quarantacinque e solo allora vidi Antonella che scendeva dal filobus, non si diresse verso l’edicola ma andò diritto verso la scuola. Non potevo crederci. Non capivo cosa fosse successo. La seguii e dopo poco la raggiunsi in classe. Non aveva più i capelli a caschetto. Ora erano lunghi e ricci.

Ti aspettavo all’edicola alle sette e trenta.
Si è fatto tardi.

Ero senza parole. Sicuramente avevo commesso errori inimmaginabili ma non riuscivo a capire quali.

Ma avevi qualcosa da dirmi?

Fu una frustata sulla faccia. Risposi con orgoglio.

Nulla di importante. Volevo solo parlare della festa di Gianfranco.
È stata una bella festa.
Sono contento.

Da quel momento si ruppe qualcosa. Di primo impulso non volevo più rivolgerle la parola, ma il mio orgoglio me lo impedì. Continuai quindi a fare il conversatore ma le mie battute erano di una tagliente ironia.

Questo vestito bianco ti sta bene, riesce a nascondere i chili che stai accumulando.

Dopo qualche giorno Antonella si mise con un compagno di scuola che finora non l’aveva assolutamente pensata. Come sempre fece tutto lei. Si chiamava Giuseppe. Il problema e che mi era pure simpatico. Un giorno lo incrociai al tabaccaio: stavo comprando dei francobolli e lui il giornale sportivo locale.

Caspita, sei un vero imprenditore, pure i timbri sulle buste.
Be’ sì, ho corrispondenza con tutto il mondo per via dei francobolli. Ho una collezione.
Io scrivo articoli sportivi su questo giornale.
Ah sì, e ti pagano.
No, ma mi trattano come un signore.

Fu allora che decisi di diventare qualcuno. A soli dodici anni avevo deciso di fare l’attore. A sedici mi sembrava una meta irraggiungibile, ma quel giorno decisi che ce l’avrei fatta. Probabilmente Antonella aveva deciso per Giuseppe perché lo riteneva il ragazzo con più possibilità di riuscita: le donne spesso puntano sugli uomini come sui cavalli. Non avrei consentito mai più a una donna di considerarmi meno di qualcun altro. Per questa meta ero disposto a sacrificare tutto me stesso e a non pensare a nessuna altra donna prima della prima.

Ho capito. Penso di aver capito. Se vieni con me all’Università, penso di poterti portare in un posto dove puoi trovare molti fragmentos dell’animo.

Serghito era il nostro uomo a L’Avana, era lui che ci portava in giro per la città lontano dai giri turistici.

Serghito vorrei ti fosse chiaro il concetto di frammento dell’animo. Il corpo di una donna per quanto bello lo puoi conoscere in breve tempo, quando l’hai conosciuto, avuto, è tutto finito, dura lo spazio di un volo di farfalla. È stupendo ma poi … ti resta solo l’amaro in bocca. Io da una donna voglio di più. Cerco nei suoi occhi un modo per entrare dentro di lei, riuscire a percepire anche solo un frammento del suo animo ma questo frammento ci deve essere, altrimenti non ne vale la pena. Preferisco non avere nessuna donna.

Ma una volta che hai avuto, hai trovato il fragmento cosa ci fai. Disse Serghito che sinceramente cercava di capire e risolvere il mio problema.

No, Serghito stai sbagliando. Non hai ancora capito. Il fragmento dell’animo non è solo una cosa da trovare. Non sono le tette che sono lì e tu puoi vederle, palparle e o sono belle o sono brutte. Il fragmento de alma é qualcosa di più difficile da percepire. Anzi ti dico di più uno deve essere disponibile a metterlo in gioco. Ecco direi che questa è la differenza fondamentale: il fragmento dell’animo non solo ci deve essere dentro di te ma devi pure essere disponibile a metterlo in gioco.

D’accordo. È come dici tu. Ma poi a che ti serve? Incalzò Serghito che puntava alla concretezza delle disquisizioni teoriche.

Ovviamente l’obiettivo ultimo non è il fragmento. Risposi, cercando anche io di chiarire a me stesso i concetti che stavo per la prima volta mettendo a punto.
Ah, no! Rispose sorpreso Serghito. E a cosa, allora, punti se il fragmento non è proprio quello che cerchi?

La capacità di Serghito di focalizzare i problemi mi impressionò. Era un semplice ragazzo di Santiago de Cuba che manteneva la famiglia attraverso il lavoro che faceva a L’Avana ma la sua intelligenza era superiore a quello di qualunque italiano medio.

Secondo me attraverso il fragmentosdell’animo bisogna arrivare a qualcosa di più importante, forse all’essere dell’altra persona.
Ho capito il fragmento de alma serve per arrivare a todo el quadro. Disse Serghito con disarmante semplicità.
Esatto. Hai colto nel segno. Se c’è il fragmento, se quindi chi ce l’ha lo mette in gioco, forse, non è sicuro, trovi la strada per percepire, avere todo el quadro di una donna. E se unisci todo el quadro di una donna al todo el quadro che tu hai dentro, beh allora hai raggiunto l’essenza vera della vita. Nulla altro avrà più importanza.
Detto così sembra lo scopo più importante della vita. Non è una cosa che proprio puoi trovare dietro l’angolo? Disse Serghito con convinzione.
È vero. Ma non è lo scopo più importante.
È lo scopo della nostra vita.
Noi lo dimentichiamo distratti dalle mille piccolezze del nostro quotidiano. E, invece, dovremmo dedicare tutto il nostro tempo a trovare fragmenti su fragmenti per cercare di arrivare a quell’unico fragmento che ti consente di arrivare a todo el quadro della vita.
Sono molto dispiaciuto ma non posso aiutarti … Nessuno può aiutarti. Disse Serghito dopo una breve pausa di riflessione.

Aveva ragione.

Fa’ noi vogliamo sapere chi é quella che risponde a telefono. Disse La Bruna senza mezzi termini.
È una donna! risposi con un mezzo tono di ironia.
Non lo vuole dire. Disse La Bionda con un sorriso amaro.
Fa’ noi vogliamo sapere tutto. Come si chiama, cosa fa, che rapporto ha con la tua vita, perché non ce ne hai mai parlato.
Non me l’avete mai chiesto. Risposi continuando su un tono scherzoso. In realtà non mi andava di parlare di quella storia che si trascinava da tempo in una lenta eutanasia. Ma soprattutto mi sembrava totalmente ininfluente nei nostri rapporti.
È chiaro che non ne vuole parlare. Sentenziò La Bionda.

La Bruna mi guardò corrucciata, La Bionda forse delusa. Aveva forse investito qualche speranza su di me? Chi poteva dirlo.
Da quando avevo scritto quel testo su una storia di donne c’era sempre qualche spettatrice che veniva a congratularsi per la grande capacità che avevo dimostrato di raccontare le donne.

Come fa a conoscere così profondamente l’animo femminile? Era la domanda più ricorrente.
Ho studiato a lungo le donne. Rispondevo con un po’ di ironia.

In realtà tutte pensavano chissà questo quante donne ha avuto: confesso che mi piaceva lasciarglielo credere. Non sapevano che per raggiungere quel risultato mi ero privato proprio di tutte le donne e di tutti i mille fragmenti che avrei potuto cogliere.
In realtà profondamente conoscevo assai poco le donne anche se ero cresciuto in una casa matriarcale con tre sorelle di tutte le età. Ma forse era proprio questa mia conoscenza parziale che mi consentiva di parlare delle donne così come loro si vedevano.
Una cosa era certa non capivo perché La Bruna che aveva una relazione stabile si comportasse da donna fatale e perché La Bionda fosse così inibita.
In ogni caso di nessuna delle due avevo colto fino ad allora un fragmento dell’animo e quindi per me erano solo delle brave ragazze che organizzavo il mio corso di creatività.

Cucina. Interno. Giorno.

È ora di colazione.
La mamma è già dietro i fornelli a preparare te’, latte e caffè.
Marco e Massimo sono già in piedi e leggiucchiano il giornale, seduti sugli sgabelli intorno al piano centrale della cucina.
La Bionda entra in scena, si stiracchia e prende stancamente posto.
La mamma le versa il tè e si siede accanto. Mangiucchia un biscotto ma nessuno comincia. Sono tutti in attesa di un evento.
Eccolo l’evento: il papà arriva avvolto in una leggerissima vestaglia di seta, a ogni passo i lembi della vestaglia si sollevano e danno alla sua figura imponente quella leggerezza dell’animo che La Bionda conosce da sempre.

La barba folta e bianca, la pipa spenta ma sempre in un angolo delle labbra, gli occhi azzurri e diretti, il sorriso che gli illumina il volto ne fanno un personaggio mitico, una sorta di Orson Welles catapultato in quella casa direttamente dai suoi film.

Ha un grosso volume sotto il braccio. Si ferma sulla soglia della cucina e la sua mole è per un attimo incorniciata dagli stipiti della porta.

Ragazzi, siete svegli! Siete pronti ad affrontare un’altra giornata? Le sue parole suonano come la carica di rin-tin-tin.

Prende posto all’unico capotavola che offre il ripiano. Pone sul tavolo il grosso volume, lo apre con decisione verso metà libro, stiracchia la pagina, alza lo sguardo e i suoi occhi diretti si posano su ogni figlio e, infine, sulla moglie. Le accarezza la mano, inforca gli occhiali, si concentra sulla pagine e comincia:

Pasta alla genovese. Preparazione 15 minuti circa. Cottura tre ore.

Ingredienti: sale, penne rigate, cipolle, spezzatino, olio di oliva.
Pelate e lavate almeno un chilo di cipolle. Tritale non troppo fine. In una padella colma d’olio di oliva riunite tutta la cipolla e fate rosolare bene.
In una casseruola unite la cipolla rosolata e l’olio, un litro di vino bianco di buona qualità e un pezzo intero di vitella bianco. Lasciate cuocere per almeno tre ore. Fate riposare.
Avviate la cottura della pasta, salandola leggermente in più. Scolate e condite con il sugo rappreso nella casseruola.

Alza gli occhi, La Bionda è disgustata dal sentire a quell’ora parlare di cibo ma sorride felice.
Marco e Massimo tollerano quella nuova stramberia del papà mentre la mamma sa che ogni ricetta che lui legge è una sua metafora della vita, è un profondo insegnamento che il papà, ormai sulla via del tramonto, vuole a tutti i costi lasciare ai suoi adorati figli.
La Bionda non sa, non vuole sapere. Preferisce vivere quei momenti come uno dei tanti giochi che facevano tutti insieme da piccoli. Ma nel profondo del suo animo, qualcosa percepisce. Alla fine di ogni lettura un suono acuto e stridente parte da una corda tesa e vibra nel suo cuore, non sa perché ma sa che un giorno tutto ciò avrà un senso.

Mi presentai nella mia città al corso di aggiornamento professionale. Vivevo da qualche anno a Roma, avevo lavorato in televisione e in un film ma non riuscivo a fare quello che volevo. Ero in crisi e, inoltre, non riuscivo a guadagnare abbastanza da riuscire a vivere dignitosamente. Così ritornai a casa, approfittando di quel corso retribuito. Si perdeva solo tempo ma era obbligatoria la presenza. Mi piantavo davanti ad un computer e fingevo di studiare come funzionava: ero già un utente esperto di computer e i compagni di corso mi sembravano mille miglia lontani.
Quel giorno ero al computer e davo le spalle alla porta. Arrivò qualcuno. Un saluto parte da un gruppo di ragazze. Una voce familiare mi ritorna in mente. Una leggera brezza mi raggiunge alla nuca. Mi alzo, mi volto e la incrocio: è lei, Antonella. Il suo sguardo si posa altrove e io ne approfitto per sfuggire alla sua vista e rintanarmi in un angolo estremo del salone, dietro un altro schermo. Erano trascorsi oltre dieci anni da quando sparii dalla sua vita e da quella scuola senza lasciare nessuna traccia. Ed ora ecco me la ritrovavo davanti: non riuscivo a crederci. Avevo preso un abbaglio? Quando andai a firmare controllai sul registro, alla fine trovai il suo nome.
Per giorni la osservai da lontano, da dietro uno schermo. Ero abbastanza cambiato, avevo la barba, una leggera stempiatura e non portavo più gli occhiali, quindi era probabile che non mi avesse neppure riconosciuto. Mi chiesi più volte cosa fare. Andai all’anagrafe per chiedere il suo certificato di residenza: era ancora nubile. Un giorno una delle amiche del suo gruppo mi chiese qualcosa sul computer, camuffai leggermente la voce: non volevo farmi riconoscere. Fu allora che decisi di capire cosa era cambiato in lei, scelsi un computer vicino al suo gruppo e concentrai la mia attenzione sui loro discorsi. Parlavano di case, arredamento, di cucina, di amiche che si sposano, di mille problemi inutili. Era tutto cambiato: la ragazza bruna, coi capelli a caschetto, gli occhi neri e intensi senza fine non esisteva più.
Il giorno dopo ero ritornato a Roma. L’unico senso che trovavo alla mia vita era raggiungere quella meta che dieci anni prima mi ero prefisso: diventare un creativo.

Sono Fabio. Sono qui davanti al cinema. Danno un bel film. Perché non mi avete avvisato che non c’era lezione?
Fa’, dai non scherzare, dove sei? Disse La Bionda per telefono un po’ disorientata.

In effetti già un’altra volta le avevo fatto uno scherzo facendole credere di essere alla stazione in un giorno sbagliato: c’era cascata, stava quasi venendomi a prendere.

Ma come dove sono? Non solo non mi avvisate, vengo fino a qui da Roma, appositamente per voi, mangio da solo uno schifoso tramezzino, sto per entrare nel cinema quando vedo il proiezionista che mi informa del film che terrà oggi. E allora capisco: non c’é nessuna lezione!
Ma come, ieri ti ha chiamato La Bruna. Dai Fa’, non scherzare. Smettila.
Non ho avuto nessuna telefonata. Forse mi ha lasciato un messaggio in segreteria. Comunque io sono qui, il cielo è nuvoloso e voglio che tu ti occupi di me.
D’accordo ci vediamo alla stazione tra un quarto d’ora. Sotto l’orologio.

Arrivai alla stazione e dell’orologio non vidi traccia ma poco dopo vidi La Bionda, apparire tra la folla. Camminava con una eleganza tutta sua che la faceva emergere dal gruppo. Si avvicinò, mi sorrise.

Ho parlato con La Bruna. Ti ha lasciato un messaggio in segreteria. Non senti i messaggi?
Non si lascia un messaggio così in segreteria. Dovevate cercarmi in tutti i modi e parlare con me. Avete sbagliato, come sempre.

Scherzavo, ma, forse, lei mi prendeva sul serio e io allora la canzonavo con qualche battuta.

Perché ormai di me ve ne fregate. Mi avete abbandonato, lo so. Mi avete venduto alla concorrenza. Vi occupate solo di quel dannato festival che state organizzando contro i mondiali di calcio.
Fa’, smettila. Non lo abbiamo fatto apposta. Scusaci!
il suo tono ora era scherzoso, aveva compreso.
Sì, sì, va bene … e ora mi devi scorrazzare per la città per tutto la giornata.
Va bene, ho capito. Cosa possiamo fare? Andiamo al cinema! Disse decisa.
Perfetto. Mi sembra un ottima idea.

Fu l’unico film che vedemmo insieme. Era bellissimo, forse anche perché ero con lei. Nel cinema mi chiesi più volte se dovevo tentare anche un timido approccio, ma esitai. Mille dubbi mi assalivano. Eppure stavo bene con lei.

Ma fu soltanto quando mi riaccompagnò alla stazione che un fatto nuovo mi travolse, inaspettato.

Un paio d’occhi azzurri, intensi, magnetici incontrarono i miei, inchiodandoli sul punto più scuro delle sue pupille, non potevo sottrarmi … e per un attimo, un solo attimo ma infinito come l’universo, precipitai in un buco nero, travolto dalle onde:
un bimbo appena nato piange senza sosta, il capezzolo di una madre si fa spazio tra le sue labbra, due labbra si sfiorano e sembrano fondersi, un ragazzo e una ragazza si abbracciano e diventano un solo essere, una coppia fa all’amore ed entrano l’uno nell’altro, l’indice teso di un bambino tocca il centro della pupilla di un adulto e il tutto sembra fondersi in un’unica bolla iridescente, luminosa fino all’abbaglio … per la prima volta raggiunsi l’infinito sublime, il punto più profondo dell’animo, il contatto perfetto con l’essenza del mondo: l’unica vera ragione che dà senso alla vita. Osservavo tutto quello che scorreva davanti ai miei occhi con quel distacco da spettatore che ti fa comprendere anche i comportamenti più assurdi: Mi sentivo sulla vetta più alta del mondo, e tutto l’universo aveva per me un senso compiuto: ero l’Eroe del mondo.

Vi ho spiegato la tecnica per produrre idee. Questa tecnica si base su un concetto basilare in Natura. Nulla si distrugge, niente si crea, tutto si trasforma. Capirete bene, allora, che la cosa più importante per avere delle buone idee sono gli elementi di base: se le informazioni generali, quelle generiche e quelle specifiche sono di qualità anche le nostre idee lo saranno. Come in ogni cosa se gli ingredienti sono di buona qualità anche il dolce sarà buono.

Una risata liberatoria aleggiò tra i corsisti. Era il mio quinto corso per creativi che tenevo. Ogni tanto per rinnovarmi e per confrontarmi con nuove generazioni di potenziali creativi, cercavo di far organizzare da qualche gruppo dei corsi. Se facevo un buon lavoro di preparazione l’esperienza era sempre positiva.

Vi siete allora chiesti, questo cosa significa? Significa che non è possibile diventare un creativo, bisogna essere un creativo. E per poter essere un creativo, dobbiamo trasformare noi stessi in un eccellente terminale sensibile a tutto ciò che succede intorno a noi. Vi ho dato, sin dal primo giorno degli esercizi anche fisici che tutti voi, lo so, avete ignorato, considerato con sufficienza. Avete sbagliato! Quegli esercizi sono i primi passi per farvi assumere la totale consapevolezza di tutto ciò che vi succede, in ogni istante della vostra vita. In questo preciso istante ciascuno di noi, respira, pensa, muove le mani, tocca i braccioli della poltrona, dispone i piedi in un certo modo ma lo fa automaticamente, ha inserito il pilota automatico per le funzioni primordiale del proprio corpo. Ebbene un creativo se ne deve riappropriare. Deve poter sentire ogni più impercettibile vibrazione del proprio essere, deve sentire quello che tocca, quello annusa, quello che mangia, quello che vede con la stessa intensità di un bambino che per la prima volta scopre un nuovo mondo. Ma deve essere anche multi-tasking, ossia mentre è totalmente consapevole di tutte le sue funzioni primordiali deve anche vivere la vita di ogni giorno con la massima intensità. Non è impossibile. Ogni essere umano si abitua a usare solo il quindici per cento delle capacità del nostro cervello. Chi vuole essere un creativo deve usarne almeno il sessanta.

Erano tutti incantati. In particolare le ragazze erano tutte soggiogate da me, forse innamorate. Quando mi guardavo intorno mi veniva spesso in mente quella scena di Indiana Jones che tiene all’Università una lezione di Archeologia, in cui alcune ragazze sono follemente innamorate di Harrison Ford ed una in prima fila ha addirittura scritto sulle palpebre, che muove in continuazione, I love you.

In realtà l’unica ragione del mio successo era che non cercavo di fare l’insegnante, ero solo me stesso: facevo il creativo e cercavo di spiegare come è che funzionava, senza false reticenze o paura di farsi rubare il mestiere, come invece molti, troppi facevano. Non c’era nessun mestiere da rubare, fare il creativo non è un mestiere, è una filosofia di vita, rigorosa e austera che solo pochi sono disposti a praticare.

Non è difficile essere un creativo. Ma bisogna accettare una sfida importante: mettersi in gioco, mettere in gioco tutto se stessi.

Una sera dopo una lezione La Bionda e La Bruna mi accompagnarono a presenziare una mia rappresentazione, organizzata da un associazione locale. Sapevo che per l’ennesima volta mi sarei trovato la sala semi vuota e cercavo, come sempre, di mascherare l’imbarazzo con la mia tagliente ironia.

Bene, affrontiamo ancora una volta questo bagno di folla e facciamola finita.

Infatti in sala c’erano meno di vneti persone, per lo più amici e parenti degli organizzatori. Fui presentato a inizio rappresentazione. Dissi le solite cose che ormai ripetevo da sempre e rimandai ad una discussione dopo lp spettacolo.
Per tutta la rappresentazione mi rintanarono in un ufficietto a farmi un’intervista non so per quale rivista. Insomma persi di vista sia La Bruna che La Bionda e solo a fine rappresentazione, ritrovai La Bionda appollaiata su un divanetto ad aspettarmi.

Cosa hai deciso. Andiamo via subito? mi chiese.
La vedo male. Hanno organizzato un buffet dopo la rappresentazione. Non penso di potermi sottrarre.
Così perdi l’ultimo treno. Perché non glielo dici?

Scossi la testa. Erano le classiche situazioni in cui non avrei mai voluto trovarmi.
Finita la rappresentazione mi ritrovai circondato dal gruppo di spettatori. Nessuno parlava. L’imbarazzo si poteva tagliare a fette.

Esprimetevi pure liberamente. Tanto l’autore non c’é. Dissi per mettere fine a quella commedia degli assurdi.

Fioccarono le solite notazioni. In generale il lavoro era piaciuto ma alcuni passaggi erano interpretati in maniera diversa dalle mie intenzioni. Sapevo che era uno dei problemi di quel lavoro.
Una coppia non proprio giovane si soffermò più a lungo delle altre a parlarmi. A un certo punto si inserì un’altra signora.

Comunque è una storia triste. La protagonista deve rinunciare a tutto. Non mi sembra una che alla fine vince.

Non mi andava di imbattermi in una discussione che già altre volte avevo dovuto affrontare quindi lasciai cadere la cosa.
Ma La Bionda che fino ad allora aveva assistito muta, intervenne.

A me sembra che la protagonista alla fine abbia fatto un cambiamento radicale. Riesce a essere completamente consapevole delle sue scelte, riuscendo perfino a modificare la realtà che la circonda. Non penso che sia una perdente. Anzi è l’unica che sembra aver capito tutto di se stessa e della vita.

Rimasi senza parole. L’analisi de La Bionda era stupefacente. Le sue riflessioni su quella rappresentazione dimostravano una profondità, una sensibilità che fino ad allora avevo solo avvertito ma mai colto così esplicitamente. Dietro quel suo essere fragile e insicuro si nascondeva una ragazza bella dentro.

Io non capisco. Se il sesso è peccato, per quale motivo Dio non ha fatto l’Uomo e la Donna davanti piatti e uguali?

Negli ultimi anni mio padre aveva un ossessione: il sesso.
Parlava a lungo con un amico che veniva ogni fine settimana a casa e cercava, invano, una spiegazione.
A volte lo trovavo a lamentarsi anche con mia sorella dei troppi mal di testa della mamma, e mia sorella si stupiva:

Babbo, ma come fai, io vedo i miei amici che sono già tutti annoiati, stanchi del sesso e tu parli come un adolescente.

Gli occhi del Babbo guizzavano, stupiti: erano incredibili. Ti bastava seguirli, gettarsi nelle sue pupille e capire tutto di lui. Era un libro aperto.

Ma se nella vita ti privano anche del sesso, di quell’attimo in cui ti sembra di raggiungere il cielo con un dito, che senso ha più la vita.

Aveva ragione.

La Bruna e Massi ci chiesero di aspettare fuori al Palazzo del Comune. Dovevano parlare con qualcuno per dei finanziamenti per il Festival.
Io e La Bionda restammo per un po’ lì fuori a parlare. Poi decidemmo di entrare nel Palazzo.
Il Cortile era ampio e decidemmo di rimanere lì.
La mia attenzione si concentrò sulle bacheche lungo una parete del cortile: erano gli avvisi di pubblicazione dei matrimoni.
Cominciai a leggere qualche avviso e dagli scarni dati, riuscivo a tirare una breve storiella su di loro.

Guarda questi. Lei architetto 1953, lui operaio 1968. Sicuramente sarà un suo dipendente, magari il manovale che gli ristruttura le case e Lei, l’architetto, alla prima occasione, paff gli è zompato ‘n cuollo.
Come hai detto? chiese La Bionda perplessa.
Sì, zompato ‘n cuollo! Vuol dire saltare addosso!

Rise. Cominciò a provare gusto pure lei alla cosa. E presto avevamo una storia per ogni coppia che si sposava.

Da un pozzo senza fine, dal buio intenso e profondo di due occhi neri, magnetici emersi su di un volto che mi era fin troppo familiare. Non stavo sognando ad occhi aperti ma mi sembrava di essere riemerso da quegli occhi su quel volto che tradivano dei tratti orientali, passando per altri occhi. Mi trovavo a Los Angeles, la città degli Angeli, sempre ospite di un Festival, e all’Istituto Italiano di Cultura mi trovai di fronte la copia perfetta di Antonella. Non capivo come poteva essere ma era così, Brigitte era la versione orientaleggiante di Antonella: perfetta come solo la Natura è capace di fare. Non potei fare a meno di provare un minimo approccio: ero sorpreso, stupito ma anche attratto da quella possibilità. Forse Antonella non era quella giusta, forse era solo una semina, forse quella giusta esisteva in un qualche angolo dell’universo. E io dovevo raggiungerla. La conoscenza fu breve, Brigitte anche se molto giovane, era sposata da poco, con un Italiano che viveva a Los Angeles. In ogni caso non scattò nessuna interazione e lasciai cadere la cosa.

Una nuova luce si irradiava dal suo viso. Non l’avevo mai percepito prima. Quei giorni La Bionda mi sembrò la ragazza più bella del mondo. C’era nel suo volto una gioia, una serenità profonda che la rendevano meravigliosa.
Era successo qualcosa.
Non capivo se ero io che la vedevo con nuovi occhi o era Lei che aveva raggiunto un suo perfetto equilibrio interiore.
Quei giorni del festival si comportò in maniera diversa anche verso di me. Mi sembrava non più inibita, più libera, più solare. Forse mi ero definitivamente innamorato di lei?
L’ultimo giorno del festival si presentò con un abito bianco da cui era possibile leggere, senza troppa fatica, il reggipetto e gli slip bianchi che incorniciavano il suo corpo.
Non potei fare a meno di farglielo notare.
Era una rilettura moderna di un Angelo!
Assolutamente irresistibile.
Le comprai un libro e segnai una dedica.

A La Bionda, che, forse, ha deciso di mettersi in gioco.

Quella sera non riuscii a consegnarglielo come pure non capii la cosa più importante:
La Bionda si stava innamorando!

Ciao Fa’, te ne sei andato senza salutarmi. Ero senza parole, non era mai successo che La Bionda mi chiamasse per telefono.
Veramente ti ho salutato, solo che eri impegnata, credo con tua madre, e forse non te ne sei accorta.
Può essere. Quando ci vediamo?
Beh, tocca a te. Organizza questa grigliata di pesce.
Va bene, mi darò da fare. Poi potremo anche andare a mare.
Sì, certo. Ricordati che mi hai promesso che avevi bisogno di dieci giorni di riposo e poi venivi per quella settimana a Roma.
Va bene, dammi questi dieci giorni.
D’accordo, ci conto. Ciao.

Quella settimana La Bruna mi chiamò quasi tutti i giorni. Aveva voglia di parlare con me, di sfogarsi. Non capivo. Comunque mi faceva piacere.

Lo sai per la prima volta La Bionda mi ha chiamato. Non so come sia successo.
Be’, accontentati per ora di questo. Io lo dico sempre: quella è tutta scema.

Non ti si trova mai. Non so quante telefonate ho fatto.
Ah, sei tu quello che non lascia messaggi. Comunque mi hai chiamato solo due volte.
Ah, brava, vengo anche controllato!

Smettila! Dammi piuttosto qualche suggerimento per la festa.
Quale festa?
La Festa di fine festival che facciamo venerdì.

Ma non era una grigliata solo con gli intimi.
No, dobbiamo farla con tutti quelli che ci hanno aiutato. Saranno una ventina di persone.
Venti persone che non conosco! Pensò proprio che non verrò.
Ma come non vieni?
Tu sei pazza, volete buttarmi in pasto a venti persone, così. Non sono la persona giusta!
Dai smettila. Sono tutti ragazzi come noi.
Be’ avrò bisogno di una scheda su tutti loro, mica posso improvvisare. Dovrò scrivere una i dialoghi.

Va bene ti farò queste schede, basta che la smetti.
Ok, vuol dire che mi occuperò io del dolce.
Sicuro?
Certo, se ti dico che mi occupo io del dolce, stai tranquilla. Piuttosto volevo chiederti, dato che si farà tardi, non è che puoi ospitarmi?

Ma certo. I miei non ci sono. Non ci sono problemi.
Sicuro? Davvero, se ti secca lasciamo perdere!
Ma no. Volevo proportelo io ma poi mi sono detta chissà cosa penserà.
Per la verità anch’io ho pensato chissà cosa si aspetta poi.
Non ti preoccupare tanto io mi chiudo in camera.

Tanto io scavalco e cerco di convincerti.
Guarda, per essere sicura di non cedere metterò le sedie davanti alla porta.

Dove sei? Incredibile di nuovo La Bionda.
Sto arrivando. Alla stazione. Mi dici come faccio ad arrivare a casa tua dal tunnel.
Ti veniamo a prendere.

Arrivarono così La Bruna e La Bionda, in macchina.
Per un po’ finsi di non avere portato alcun dolce ma poi tirai fuori le due torte alla caprese che avevo fatto.

Una al cioccolato fondente.

Una al cioccolato bianco al limone.


La Bruna e La Bionda, appunto.

La differenza è semplice:

La Bruna è più diretta, più decisa: ti piace subito ma può anche finire prima;

La Bionda è più sofisticata, più leggera, più francese, può durare una vita.”

La Festa andò abbastanza bene. La Bruna aveva voglia di parlare. Forse aveva un compito: doveva dirmi qualcosa e non sapeva come. Parlammo di varie cose inutili poi ci spostammo sulle vacanze.

Dove avete deciso di andare? Chiesi. In realtà avevo voglia di proporre una vacanza insieme in uno dei villaggi multiproprietà di un mio amico.

Non abbiamo ancora deciso. Io penso che andremo in Toscana, io; Massi, La Bionda e Vin’.

Questo Vin’, era un nome nuovo, non la avevo mai sentito.

E chi è questo Vin’? chiesi senza dare molta importanza alla cosa.
Vin’ sarebbe il ragazzo de La Bionda, anche se non so. Non sono convinta.

Rimasi un po’ interdetto. Non me lo aspettavo. Eppure dimenticai subito la cosa in quanto poco dopo La Bionda mi trascinò da una parte, si avvinghiò intorno al collo e mi disse che aveva ritrovato i trucchi che pensava di aver perso.
Non sembrava proprio una con un ragazzo.
Notai due ragazze chiaramente più piccole di tutti gli altri.

Quando si rischia con le minorenni? Le chiesi scherzando.
Può essere pure che non lo siano. Aspetta che mi informo. Quale delle due ti interessa?
Lascia perdere, scherzavo.

Eppure già durante il festival La Bionda si era offerta di trovarmi una ragazza. Non capivo.

Te sei sempre circondato dalle donne. Disse il fratello informatico de La Bruna che mi pescò ancora una volta tra La Bruna, La Bionda e una mia allieva del corso.

Non preoccuparti. Tanto è tutto virtuale! Risposi con convinzione.

Non era molto convinto ma incassò la battuta.

La festa si esaurì. In cucina rimanemmo io, La Bionda e una sua amica che aveva chiesto ospitalità. C’era un po’ di imbarazzo e l’amica non smise un solo momento di parlare. Alla fine fu La Bionda a dire di avere sonno e io mi diressi nella stanza assegnata. Mi lavai e mi abbandonai nel letto. Nella stanza accanto sentii La Bionda chiudere la porta e, nel corridoio, l’amica fare lo stesso. Ero l’unico che aveva lasciato gli scuri aperti e così anche la porta della stanza.

Questa è la vera differenza tra me e le donne. Pensai.

Loro parlano tanto di libertà e pari diritti ma, poi, è in situazioni come queste che si gioca la vera battaglia per le pari opportunità. Ognuno di loro poteva entrare senza problemi nella mia stanza e non avere alcun dubbio sul risultato. Io avrei dovuto superare una muta porta, chiedere di poter accedere e non avevo nessuna garanzia sull’esito della partita. Per la verità anche loro non avevano nessuna certezza ma questo loro non lo sapevano: non sapevano che avevano a che fare con uno diverso da tutti gli altri.

Cucina. Interno. Giorno.

Intorno alla tavola imbandita eravamo in quattro, tutti concentrati sulle linguine alle vongole. La Bionda, la padrona di casa, era uscita un attimo a prendere non so cosa.
La porta si aprì: La Bionda era già tornata?
Fui il primo a vederlo. Improvvisamente tra gli stipiti della porta si stagliò la mole imponente del mitico Orson Welles: occhi azzurri e diretti, la barba piena e bianca, la pipa sempre spenta, gettata in un angolo delle labbra, il sorriso sarcastico che illuminava il volto.
Ha un grosso volume sotto il braccio.

Ragazzi, siete svegli! Siete pronti ad affrontare un’altra giornata? Le sue parole suonano come la carica di rin-tin-tin.

Prende posto all’unico capotavola rimasto. Pone sul tavolo il grosso volume, lo apre con decisione verso metà libro, stiracchia la pagina, alza lo sguardo e i suoi occhi diretti si posano su ognuno di noi. Inforca gli occhiali, si concentra sulla pagine e comincia.

Linguine ai frutti di mare. Preparazione 30 minuti. Cottura 1 ora.

Mi svegliai. Di scatto mi sollevai al centro del letto e mi girai verso la porta: sulla soglia, tra gli stipiti non c’era nessuno. Un leggero chiarore cominciava a farsi largo fuori. Guardai l’orologio erano appena la 6 e mezza. Non presi più sonno. Pensai al sogno, a Orson Welles che si materializzava e mi scopriva nel letto di uno dei figli, all’amica che dormiva in una stanza del corridoio che aveva detto che alle nove e mezza doveva essere via, a La Bionda che dormiva alla stanza a fianco e forse aspettava solo un mio gesto coraggioso, a me che non sapevo cosa fare.

Aspettai. Decisi di far andare via l’amica e poi andare da La Bionda.
L’amica andò via e subito dopo la porta de La Bionda si aprì. Concentrai l’attenzione sul sonoro. Avanzò nel corridoio. Poi nessun rumore. Mi affacciai e vidi la luce di uno dei bagni sul fondo accesa. Tornai al letto. Attesi. Il rumore dello sciacquone mi confermò che non avevo sbagliato. I suoi passi che procedono nel corridoio, la porta della stanza accanto che si richiude.
Dovevo fare qualcosa. Chissà perché quando c’é da agire é sempre tutto così difficile. Eppure non ero più un ragazzino.

Come fa a conoscere così bene l’animo femminile? Mi ritornò in mente la domanda che sempre mi facevano dopo ogni rappresentazione.

Vorrei saperlo anch’io!

Più volte mi avvicinai alla muta porta. Più volte tornai indietro.

C’era un film che La Bionda ogni tanto tirava fuori dai suoi ricordi dicendo: è bellissimo!.
È Mignon è partita.

Fu soltanto alla fine di quella estate che capii. Quel giorno con Mignon se solo avessi allungato la mano sulle sue spalle, se solo fossi riuscito a entrare fisicamente in contatto con Lei.
Lei si sarebbe accorta di me.

Aprii la porta. Ormai non potevo tirarmi più indietro. E dovevo improvvisare.
Il buio della stanza mi affrontò diretto. Non capivo dove fosse.

Stai dormendo? finalmente la vidi, nel letto lungo la parete di sinistra. Mi avvicinai e mi sedetti accanto.

Volevo portarti il caffè ma non ho trovato la macchinetta.

Non prendo il caffè la mattina. Prendo il tè. Adesso mi alzo e ti faccio il caffè.

No, lascia perdere. Hai ancora sonno. Vuoi che ti porto il tè? Cercavo un modo per avviare un dialogo.

No, fra un po’ mi alzo.

Cominciai a massaggiarle le spalle, la nuca. Mi lasciò fare.

Ma non ho trovato la moka?

Sono anni che non la usiamo. Usiamo la macchinetta per l’espresso.

No, allora, prenderò anch’io il tè! Continuai a massaggiarle il collo. Non sembrava imbarazzata ma neppure notavo un piacere o una disponibilità.

Sei tutta tesa! Dissi quasi a voler giustificare i miei massaggi.

No, non sono tesa. Così però mi fai venire di nuovo sonno.

Ero in un cul de sac. L’ultima cosa che pensavo e che quei massaggi potessero farle venire sonno.
Improvvisai un discorso su altre rappresentazioni dei miei testi e reazioni scomposte, sul postino che cantava, sul programma della giornata ed altro ancora. Nel frattempo non smisi mai di massaggiarla e per due volte fui vicino al punto di lasciarmi andare e baciarla. Anzi ci fu un momento in cui stavo per dirle:

Ho solo voglia di baciarti.

Una serie di baci, montati uno dopo l’altro in un crescendo di immagini e suoni si fece largo nella mente: era la sequenza finale di Nuovo Cinema Paradiso, quando il protagonista, ormai regista affermato chiede di farsi proiettare la pizza che il vecchio proiezionista del suo paese gli ha lasciato in eredità: sono tulle le scene di baci che ha dovuto tagliare dai film per la censura del prete, gestore della sala parrocchiale.
Ma tra tutti quei baci mi venne in mente quello che io considero il più bel bacio del cinema.
Quello lunghissimo tra Cary Grant e Ingrid Bergman in Notorius di Alfred Hitchcock.

Quella mattina da La Bionda avrei voluto solo un bacio così. Lungo e disperato. Per riuscire a ritrovare quel frammento dell’animo che sapevo essere in lei.
Ma quella mattina quel frammento dell’animo, che pure era dentro di lei, non poteva essere messo in gioco per me.

Facemmo colazione. Mi concentrai sulle stoviglie da lavare, vincendo le sue resistenze. Lei sistemò il soggiorno, mi chiese consigli su come pulire il tavolo.
Visti dall’esterno dovevamo sembrare una coppia ben rodata di giovani innamorati che si dedicano alle cure del proprio nido.
La Bruna avvisò che sarebbe arrivata verso l’una e che avremmo mangiato qualcosa prima di andare a mare.
Pensai che un’altra notte non potevo rimanere in quella casa ma non sapevo che decisone prendere.
Preparai uno spaghetto aglio e olio, non riuscito proprio bene, che La Bionda più volte durante il giorno mi rimproverò. Ma forse voleva rimproverarmi di altro.

Sulla spiaggia si materializzò Vin’. Improvvisamente emerse dai miei ricordi la frase de La Bruna della sera prima:

Vin’ sarebbe il ragazzo de La Bionda, ma no so. Non sono convinta.

Fino a quel momento quel ricordo lo avevo completamente rimosso.
Nessuno me lo presentò. Lo salutai come l’avessi già conosciuto chissà dove: era la prima volta che lo vedevo!
Il problema era che Vin’ era il mio doppelgänger: lo guardavo e mi sembrava di riflettermi in uno specchio.

Carla mi sorrise, mi baciò sulle guance trattandomi da vecchio amico. L’avevo incontrata solo un paio di volte quando ancora non era la moglie di Peppe.

Il suo volto aveva qualcosa di familiare. La guardai negli occhi e capii: non era il suo volto ma il suo sguardo:
Occhi neri, intensi, magnetici che sprofondano in un pozzo senza fine: era anche lei un doppelgänger di Antonella.

Guai se incontriamo il nostro doppelgänger. I nostri universi paralleli possono incrociarsi e produrre una frattura spazio-tempo insanabile.
Stavo correndo un grosso pericolo.
Per tutto il tempo cercai di ignorare Vin’, anche se non volevo essere scorbutico. Comunque cercai di evitare il suo sguardo. Cercai di stare alla larga da lui.
La Bruna a fine giornata lesse gli oroscopi. Chiese il mio che si adattava perfettamente alla giornata e poi chiese quello di Vin’: era lo stesso.

Dissi a La Bruna che dovevo prendere l’ultimo treno utile per Roma. Provò a dissuadermi ma senza convinzione.
Massi lanciò una considerazione:

Come mai La Bionda è oggi così insofferente?

Gli universi paralleli stavano interagendo e io ero l’unico che poteva salvare il salvabile.
Per tutta la giornata avevo avuto un blocco alla bocca dello stomaco: avevo poco tempo per rimettere tutto in ordine.

Eccoci qui, come ai vecchi tempi del corso. Ero alla stazione accompagnato da Massi e da La Bruna, ad aspettare il treno dell’una.

Quel giorno La Bruna si era presa cura di me e io l’avevo lasciata fare, anche se non ero riuscito ad essere spontaneo e sincero come in passato. Non so quanto sapesse ma non mi sembrava contenta della situazione creatasi.
Io ero contento di lei: non era facile trovare ragazze come La Bruna.

Elsa tira a se’ Giulio e improvvisa un dolcissimo e doloroso “lento”. Ballano nella stanza stretti.
CARTELLO: La teoria del campo magnetico.
Elsa:
In ognuno di noi esiste una specie di campo magnetico, come un’energia invisibile, tutta intorno al nostro corpo. È più intensa nelle persone che credono di essere innamorate. Si concentra su certi punti del corpo … le mani … il collo … la bocca …
La Macchina da presa ruota intorno ai due corpi allacciati, li avvolge, scende lungo la loro figura, indugia sulle mani … sul collo di Elsa e Giulio … sulle loro bocche …
Elsa:
È una forza bellissima, ma crudele. È un inganno, più desideriamo che non ci sia, e più si fa viva, ci emozioniamo, andiamo nel pallone. Ci blocca.
Si abbracciano più forte.
Elsa:
E allora si soffre. Giulio non soffrire … (ci pensa su, si morde le labbra) lasciamo tutto così com’é … eh?

Mi venne in mente così.
Questa scena de L’estate della sabbia rossa l’avevo scritta insieme a Roberto e Massimo nel 1989, ricordo di tante situazioni simili vissute fino ad allora.
Scriverla e realizzarla era stato un po’ come fare i conti con se stessi e andare oltre. Mai avrei pensato, dieci anni dopo, di sentirla così attuale.

Ci pensai a lungo. Esattamente cento ore. Alla fine decisi.
Presi il treno e arrivai dopo sei ore alla solita Stazione.
Il piano era questo: chiamavo La Bionda, dicevo di essere lì alla stazione, di essere lì per lei, di volerla vedere, di voler passare la serata insieme: avevo bisogno di sapere come andava a finire questa storia.
Mi sembrava una buona trovata. Poteva funzionare. Se provava ancora qualcosa per me, forse potevo avere ancora qualche possibilità. In caso contrario, almeno avevo un finale. Certo ne sarei uscito con le ossa rotte ma avrei avuto un finale. Del resto non lo dicevo sempre ai miei allievi:

Se volete raccontare delle buone storie, c’é un sola possibilità: dovete mettervi in gioco. Ma non per finta. Veramente e senza remore.

Ero in gioco!

Scesi dal treno. L’aria condizionata aveva raffreddato gli abiti che indossavo. Come misi piede sul marciapiede della stazione una piacevole aria calda si irradiò dal pavimento salendo per tutto il corpo e riscaldando in un attimo gli abiti: era una sensazione piacevole anche se durava il tempo di un battito di ali di una farfalla. Scesi le scale. Attraversai il sottopassaggio. Cercai un telefono in un posto poco rumoroso.
Un attimo di pausa. Un bel respiro. In quel momento mi giocavo la mossa più importante della mia vita.
Composi il numero. Sentii agganciare la linea. Poi iniziarono gli squilli.

Un paio d’occhi azzurri, intensi, magnetici incontrarono i miei, inchiodandoli sul punto più scuro delle sue pupille, non potevo sottrarmi … e per un attimo, un solo attimo ma infinito come l’universo, precipitai in un buco nero, travolto dalle onde …

Gli squilli continuavano senza tregua con puntuale regolarità …

Una nuova luce si irradiava dal suo viso. Non l’avevo mai percepito prima. Quei giorni La Bionda mi sembrò la ragazza più bella del mondo. C’era nel suo volto una gioia, una serenità profonda che la rendevano meravigliosa.
Era successo qualcosa.
Non capivo se ero io che la vedevo con nuovi occhi o era Lei che aveva raggiunto un suo perfetto equilibrio interiore.
Come pure non capii la cosa più importante:
La Bionda si stava innamorando!

Immaginai la casa de La Bionda, che ormai conoscevo bene, immaginai il telefono che squillava senza sosta …

L’indice teso di un bambino tocca il centro della pupilla di un adulto e il tutto sembra fondersi in un’unica bolla iridescente, luminosa fino all’abbaglio … per la prima volta raggiunsi l’infinito sublime, il punto più profondo dell’animo, il contatto perfetto con l’essenza del mondo: l’unica vera ragione che dà senso alla vita.

Mi vidi dall’alto, accanto al telefono, in attesa …

Osservavo tutto quello che scorreva davanti ai miei occhi con quel distacco da spettatore che ti fa comprendere anche i comportamenti più assurdi.

Mi sentivo sulla vetta più alta del mondo, e tutto l’universo aveva per me un senso compiuto.

La cornetta fu sollevata. Un lungo momento passò prima del sopraggiungere della voce. Mi costrinsi ad andare fino in fondo. Sapevo che altre volte aveva approfittato di quell’attimo per darmi alla fuga.
La voce arrivò. Non era quella de La Bionda.

Sono Fabio Fiore, cercavo sua figlia.
Mia figlia non c’é. È uscita. È fuori con Vin’!

Stavo per ringraziare e mettere giù quando la voce profonda del mitico Orson Welles interloquì.

Ma tu sei l’autore …?
Risposi meccanicamente: Sì!
Ah, quindi sei tu l’autore … l’autore di … quella … (deglutì) torta bionda! Com’é che si chiama?
Torta caprese al limone.
Geniale!” Anche il nome è geniale. Ma questa sarà una abbreviazione. Qual’é il nome completo?
Torta caprese alle mandorle al cioccolato al limone.
Che meraviglia! Solo i napoletani e i viennesi sono capaci di simili squisitezze linguistiche e culinarie!
Mi fa piacere che abbia apprezzato.
Senti, so che simili ricette sono segrete ma, devo chiedertelo, non puoi darmi la ricetta?

Stazione Centrale. Interno. Giorno.

Osservavo tutto quello che scorreva davanti ai miei occhi con quel distacco da spettatore e mi vidi:
Camminavo verso il centro della stazione. I rossi raggi del tramonto filtravano dai vetri della cupola centrale.

FUORI CAMPO LA VOCE DEL MITICO ORSON WELLES

Torta alla caprese al limone.

Tempo di preparazione 1 ora. Tempo di cottura: imprecisato.
Ingredienti:
400 grammi di mandorle sgusciate;
250 grammi di zucchero
400 grammi di cioccolato al limone
120 grammi di burro
6 uova
un bicchiere di liquore strega
In un mortaio sbriciolare le mandorle e il cioccolato. Montare a neve i bianchi e sbattere a zabaione i rossi. Unite il tutto e aggiungete il burro sciolto a bagnomaria e il liquore. Mettete in forno ben caldo e tenete per circa un ora.

La torta va servita fredda.

Mi siedo al centro su una panchina metallica. Sgancio il piccolo zaino. Lo apro. Tiro fuori un piccolo pacchetto tondo. Lo scarto. È una Bionda mignon (ossia una torta caprese al limone). Al centro si legge qualcosa ricavato tra lo zucchero a velo. La libero dalla stagnola. A mo’ di panino la agguanto e comincio a mangiarla.

Sul piano della torta leggiamo: A La Bionda con amore.

Cucina. Interno. Giorno.

È ora di colazione.
La mamma è già dietro i fornelli a preparare te’, latte e caffè.
Marco e Massimo sono già in piedi e leggiucchiano il giornale, seduti sugli sgabelli intorno al piano centrale della cucina.
La Bionda entra in scena, si stiracchia e prende stancamente posto. Una luce nuova si irradia dal suo volto.
La mamma le versa il tè e si siede accanto. Mangiucchia un biscotto ma nessuno comincia. Sono tutti in attesa di un evento.
Eccolo l’evento: il papà arriva avvolto in una finissima vestaglia di seta, a ogni passo i lembi della vestaglia si sollevano e danno alla sua figura imponente quella leggerezza dell’animo che La Bionda conosce da sempre. La barba folta e bianca, la pipa spenta ma sempre in un angolo delle labbra, gli occhi azzurri e diretti, il sorriso che gli illumina il volto ne fanno un personaggio mitico, una sorta di Orson Welles catapultato in quella casa direttamente dai suoi film.
Ha un grosso volume sotto il braccio. Si ferma sulla soglia della cucina e la sua mole è per un attimo incorniciata dagli stipiti della porta.

Ragazzi, siete svegli! Siete pronti ad affrontare un’altra giornata? Le sue parole suonano come la carica di rin-tin-tin.

Prende posto all’unico capotavola che offre il ripiano. Pone sul tavolo il grosso volume, lo apre con decisione verso metà libro, stiracchia la pagina, alza lo sguardo e i suoi occhi diretti si posano su La Bionda, Le accarezza la mano, inforca gli occhiali, si concentra sulla pagine e comincia:

TORTA CAPRESE AL LIMONE
Detta anche La Bionda.
TEMPI
Preparazione: diversi mesi. Cottura: Imprecisato.

Alza gli occhi, La Bionda è sorpresa: non sa, vuole sapere. Nel profondo del suo animo, qualcosa percepisce. Alla fine di quella lettura un suono acuto e stridente parte da una corda tesa e vibra nel suo cuore:

Ora che ha compreso il senso, ha perso l’emozione.

The dream is gone.
I have become comfortably numb.

Il sogno è finito
E io sono diventato piacevolmente insensibile

Pink Floyd

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>